Tra i vincitori del Premio IPA a EXPO Dubai 2020 con il progetto sul complesso chimerico e le sue applicazioni terapeutiche nel trattamento del cancro e delle metastasi, Daniela Taverna è docente di Biologia Molecolare presso l’Università di Torino. La Prof.ssa Taverna, da oltre 30 anni, lavora nella ricerca con studi sulla progressione neoplastica e sul ruolo dei microRNA durante la fase di metastasi del cancro.
In Italia è previsto un aumento di nuovi casi di tumore. Nell’ultimo aggiornamento, del 27 gennaio 2023, a cura di AIRC e AIRTUM – Associazione Italiana Registri Tumori, il territorio italiano presenta un incremento di nuove diagnosi di tumore dell’1,4% negli uomini e dell’0,7% nelle donne nel 2022 rispetto al 2020. Un dato che, riportato in numeri, corrisponde circa a 391.000 nuovi casi (escludendo i carcinomi della cute non melanomi). Un segnale importante che, accompagnato dal parametro della sopravvivenza ai tumori – che in Italia è sempre più in crescita – porta ad una riflessione altrettanto necessaria: il bisogno di investire nella ricerca. Permettere ai laboratori di ricerca di riflettere i loro studi in applicazioni concrete è un passaggio chiave per contrastare l’incremento e il decorso dei casi di tumore.
Il biomedicale è un settore che richiede investimenti importanti, necessari a coprire costi di macchinari, strumenti e burocrazia non indifferenti. Proprio per questo, alla base di una scelta economica di questo è bene che ci sia un sostegno di tipo divulgativo: fare buona informazione, farla in modo capillare. È necessario raggiungere ogni fascia della popolazione: dai bambini agli adulti, da coloro che operano nel settore a chi invece esercita tutt’altra professione. Ma come possono convivere ricerca, investimenti e divulgazione? E davanti a quale scenario ci troviamo oggi? E quello futuro?
Buongiorno Daniela e grazie del tuo tempo. Il complesso chimerico da voi brevettato nasce dall’esigenza di far fronte alla sfida di sviluppare una terapia targettizzata per contrastare gli effetti collaterali delle cellule del cancro. Nella prospettiva che entro il 2040 è stimato un aumento di casi a 29.5 milioni, come stanno procedendo le vostre ricerche? E quale è oggi lo scenario aggiornato?
Il costrutto e i test fatti in vitro – e a livello di ricerca preclinica nel topo – sono abbastanza avanti e hanno dato esiti promettenti. Con l’utilizzo di questo complesso chimerico si evidenzia una riduzione della metastasi nell’animale. Nel 2040 sì, non posso che immaginarmi l’utilizzo di molecole di questo tipo. Ma come ci arriviamo laggiù? Il punto è la parte traslazionale. Per ora il lavoro è tutto sperimentato all’interno del laboratorio e attualmente le molecole non sono utilizzabili per il trial clinico. Nonostante ci sia davvero grande interesse dal mondo degli investimenti, ci ritroviamo ad essere sempre un po’ fermi e in attesa che qualcuno investa nella tecnologia. Parliamo sempre di cifre importanti e per questo non ci si espone ancora così tanto al rischio di concentrarsi sull’implementazione di una tecnologia di questo tipo. Quello che posso dire è che sicuramente non immagino un utilizzo nel singolo ma accompagnato a chemioterapia o immunoterapia.
Qual è la sfida di “settore” che vi siete posti quando avete iniziato questo progetto di ricerca e quale obiettivo volete raggiungere?
Noi siamo partiti facendo ricerca di base, non traslazionale. Tuttavia, abbiamo poi avuto evidenza di spunti interessanti da questi “bersagli” e ci siamo pian piano spostati su studio e sviluppo del complesso chimerico. Ma posso dire che siamo partiti con poche ambizioni su quel percorso perché non era prettamente “il nostro” o comunque non era il punto di partenza effettivo da cui ci siamo mossi con la nostra ricerca. Questa sfida ha dato tuttavia dei primi frutti interessanti: basti pensare ad EXPO 2020. Subito dopo Dubai siamo stati contattati da investitori che hanno poi riconsiderato tutti i nostri progetti, anche se purtroppo, per il momento, non sono stati pronti ad investire così tanto nel mondo dell’RNA. Il mercato è un po’ restio a questo tipo di investimento: l’RNA ha avuto sviluppi significativi solo negli ultimi due anni. A mio parere, 10 anni e questo sarà recepito in maniera molto forte.
Soffermiamoci per un momento sui 10 anni di transizione di cui parlavi poco fa. È un periodo abbastanza lungo per avere riscontri sul reale interesse in queste tecnologie. Cosa potrebbe abbattere questi 10 anni di attesa per far sì che queste tecnologie siano recepite più velocemente dal mercato?
Avendo più risorse si potrebbero offrire studi più accurati e consistenti. Secondo me però gli investors interessati al medicale recepiscono e si interessano concretamente quando c’è tanta letteratura a riguardo: e credo che ci voglia ancora del tempo per avere un ingente archivio di letteratura sull’applicazione delle terapie a RNA. Usciranno papers in 3-4 anni. Però posso dire che “un pacco di letteratura più farcita” darebbe agli investitori prontezza e tranquillità maggiori per esplorare queste applicazioni. Poi, credo anche che bisognerebbe lavorare tantissimo con la divulgazione a livello generale e di popolazione. È importante far capire a tutta la società che cosa sia l’RNA, quali studi siano in corso e come si possano sfruttare gli RNA da un punto di vista terapeutico. In questo modo non si sta solo facendo informazione ma si può arrivare anche a tutta quella parte di investitori che non lavorano strettamente nel biomedicale e/o, di contro, dando evidenza delle ricadute e dell’interesse a livello “macro” – di popolazione.
La tecnologia si applica principalmente tumori solidi e in fase metastatica. Ci sono stati nuovi sviluppi su questo fronte? Si sono aperti nuovi orizzonti di applicazione dal primo deposito di brevetto a settembre 2019?
Noi ci siamo concentrati sui tumori solidi perché è un po’ il focus della nostra ricerca. Tuttavia, c’è molto interesse nel potenziale del complesso chimerico applicato nei bigkillers: pensiamo ad esempio al tumore pancreatico o quello polmonare. Seppure non ancora con evidenti applicazioni, ad oggi, possiamo dire che stiamo lavorando ad un progetto ad ampio spettro e non strettamente legato ad un’applicazione specifica.
Partecipare a IPA ed essere premiati in un contesto come quello dell’EXPO di Dubai che cosa ha significato per il vostro Team di ricerca? E più in generale, che valore hanno – secondo lei – questo tipo di eventi per la Ricerca italiana? Cosa si può fare in più secondo lei su questo fronte per supportare i team di ricerca alla creazione di nuove imprese / spinoff?
Partecipare a iniziative come l’IPA per me ha un valore molto alto. Fondamentalmente, e mi riferisco alla nostra esperienza, per quattro motivi. Il primo è perché permette di fare informazione ad ampio raggio. Andare ad EXPO significa presentarsi alle comunità più diverse: si va oltre il proprio settore di appartenenza. È necessario, dunque, che questi momenti e queste sinergie siano raccontate da sempre più giornalisti che documentino e portino in giro queste notizie. Il secondo motivo è che essere ad EXPO ci ha permesso di concretizzare a livello interno quello che stavamo facendo. I diversi dipartimenti, il nostro in primis, ha capito che un passaggio traslazionale era ed è possibile. Di fatto è un riconoscimento – di qui il terzo punto. Segnali che la tecnologia è stata licenziata, che ha ricevuto dei grants e che inoltre è stata vista e presentata (e in questo caso premiata) anche in diverse occasioni. È un valore molto alto e interessante da portare nelle varie fiere a cui si partecipa. Infine, quarto punto, posso dire che queste occasioni sono delle vere e proprie opportunità. Per tutti ma soprattutto per i giovani ricercatori. Nel caso dell’Università di Torino io ero capofila ma altri progetti avevano dei capifila e dei team molto giovani che devono fare tesoro di queste tappe nel loro percorso umano e lavorativo.
Che ricadute ha avuto il progetto dopo IPA? Grazie al premio ottenuto, che cosa è stato possibile implementare nella vostra tecnologia?
Tanto interesse in più ma non occasioni strettamente concrete. L’Italia è molto lenta nel biomedicale e proprio per questo direi che siamo nei tempi. Il trial clinico è veramente molto costoso in tanti sensi: a livello di investimenti ma anche di quantità documentativa e burocratica.
Piattaforma Knowledge Share: come siete arrivati a conoscere la piattaforma? Che ruolo ha avuto e ha la piattaforma KS nell’ambito della Ricerca e del Trasferimento Tecnologico del vostro ateneo?
Knowledge Share è molto importante sia nel suo ruolo di piattaforma di valorizzazione ma anche di divulgazione. L’Italia dovrebbe investire molto di più in questo senso. Portare la ricerca a tutti, partire dalla formazione dei bambini: farli appassionare alla ricerca. Purtroppo, al giorno d’oggi, vista la situazione economica fragile, si cerca di fare del profitto in maniera immediata. Si cerca spesso un impiego che porti guadagni (anche importanti) nel più breve tempo possibile. Ma abbiamo bisogno di far capire ai nostri ragazzi di cimentarsi anche in qualcosa di più rischioso che però – con i dovuti tempi – può portare a risultati e ricadute davvero impattanti e costruttive. Credo che ci voglia più dialogo e più sinergia, anche interna agli Enti stessi. Parlando con colleghi di Economia e Giurisprudenza mi rendo conto di come si sappia poco gli uni degli altri. È tutto molto compartimentato.
Quali sono i piani per il futuro di questo progetto: roadmap da seguire e milestone da raggiungere?
Con chi servirebbe essere messo in contatto?
Questi sono i primissimi approcci: migliorare la molecola, testarla e poi passare ai pazienti endogeni. Prima di passare al paziente è necessaria la stabilizzazione della molecola. Ad esempio, parte del Premio IPA è stato investito in una missione negli Stati Uniti dove abbiamo potuto stabilizzare il complesso chimerico. Ora sarebbe necessario ampliare le analisi a livello preclinico ad altre tipologie di tumori, ma è molto costoso. Infine, si tratterebbe di utilizzare i compounds (i nostri composti) con topi che sviluppano tumori endogeni per capire se siano effettivamente possibili questi sviluppi.
Che tipo di supporto vi aspettate nel corso del tempo, nel corso del processo di valorizzazione della ricerca, da parte dal team Knowledge share?
Sarebbe fantastico potersi confrontare con un team che sia interfaccia tra il nostro laboratorio e sia il mondo della divulgazione (giornalisti) che degli investitori. Magari con degli eventi tra chi fa ricerca, chi divulgazione e chi investe. Sarebbe interessante poterlo fare in modo cadenzato: ad esempio ogni 3 mesi trovarsi e presentare i piccoli avanzamenti fatti. In queste occasioni i Team di Ricerca possono esporre le ricadute e cosa prevedono (o cosa vorrebbero prevedere) per il prossimo futuro; dunque, chiedere di cosa hanno bisogno e capire chi ha interesse nel darglielo. In questo senso, e per il nostro progetto, credo manchi proprio la conoscenza per fare in modo che poi, le Big Pharma investano nel settore.
Come ricercatore che approccio si aspetterebbe dall’impresa? / Se lei fosse un imprenditore, che cosa si aspetterebbe di trovare nel campo della Ricerca?
Nel campo oncologico c’è uno spazio infinito. Molta gente riesce curarsi ma altrettanta ancora purtroppo no. Cercherei di usare queste piattaforme, come Knowledge Share, per mettere in contatto sempre più stretto la ricerca con l’industria. Credo sia una questione anche di cooperazione. Io docente universitaria devo essere affiancata da chi sa lavorare nello sviluppo di un progetto: da imprenditrice che non sa fare questo mestiere ho bisogno di essere accompagnata da qualcuno che sappia gestire e avere una visione di insieme in questo senso. È fondamentale per colmare il gap tra laboratorio e mercato.
Per approfondire il progetto della Prof.ssa Taverna: COMPLESSO CHIMERICO E LE SUE APPLICAZIONI TERAPEUTICHE NEL TRATTAMENTO DEL CANCRO E DELLE METASTASI | Knowledgeshare (knowledge-share.eu)