Oggigiorno viviamo in un mondo fatto di tecnologia. L’uso costante e quotidiano di strumenti e oggetti elettronici è ormai una vera e propria abitudine. Un’elettronica “tradizionale” che però ha permesso i primi studi significativi sul tema e grazie alla quale sono nate aziende di grande successo, le stesse che hanno permesso di prendere consapevolezza di problematiche da poter risolvere con l’avanzamento della tecnologia. Un circolo positivamente “vizioso” se lo si sa gestire bene.
Sebbene sia sempre più caldo e sentito la tematica ambientale, è chiaro che l’elettronica tradizionale spesso non abbracci ancora completamente un approccio sostenibile. Ad esempio, i componenti elettronici hanno un fine vita molto sfidante e talvolta complesso. Talvolta manca di processi e strumenti avanzati da permettere uno smaltimento, o un riciclo, quanto più sostenibili diventando così dannoso per l’ambiente, e dunque per l’uomo.
Le percentuali di rifiuti elettronici prodotte negli anni crescono velocemente. Si parla di milioni di tonnellate. Sono decisamente più basse, invece, le percentuali di rifiuti elettronici destinati al riciclo poiché la restante parte di componenti elettronici viene rilasciata nelle discariche o, in ambiente domestico, in qualche cassetto di casa.
È però in atto, dal più di un decennio, una “rivoluzione” significativa meglio conosciuta come “green electronics”: ovvero tutta quell’elettronica che prevede lo sviluppo di componenti utilizzando materiali bio-based o biodegradabili che comportano un consumo molto basso di energia. Un esempio è la cellulosa.
“PLANT-E-TRONICS”, tecnologia sviluppata da Ilker Bayer, Pietro Cataldi e Athanassia Athanassiou dell’Istituto Italiano di Tecnologia, può considerarsi parte di questa “rivoluzione”. Il brevetto consiste in un materiale composito a base di cellulosa per la fabbricazione di componenti elettronici biodegradabili e flessibili.
Questo materiale viene realizzato impregnando la cellulosa con un inchiostro di leganti proteico-polimerici e nanomateriali elettricamente conduttivi (ad esempio, nanofiocchi di grafene). Esso può essere utilizzato in varie applicazioni, dalla schermatura elettromagnetica alle antenne, alle celle fotovoltaiche e all’elettronica indossabile.
Per saperne di più abbiamo fatto qualche domanda ad uno degli inventori di PLANT-E-TRONICS, Pietro Cataldi. La tecnologia in questione è anche il brevetto più visualizzato del mese di luglio sulla piattaforma Knowledge Share nella categoria “Chimica, Fisica, Nuovi Materiali e Processi di Lavorazione.”
Ci racconti di lei, background e ruolo/interessi nel mondo della ricerca
Mi sono laureato in Fisica all’Università di Genova e poi ho proseguito con la specialistica in Fisica dello Stato Solido tra Genova e Berlino studiando all’Università di Genova, alla Freie Universitat Berlin e al Fritz Haber Institute der Max Planck Geselleschaft. Dopodiché sono tornato in Italia e ho proseguito con il Dottorato a Genova all’Istituto Italiano di Tecnologia e poi mi sono trasferito prima a Manchester poi a Milano per due diversi Post-Doc. Nel frattempo, ho vinto una Marie Curie Individual Felloweship – con il progetto BioConTact – che mi ha permesso di tornare a Genova e di concentrarmi sul mio progetto: sviluppare conduttori elettrici biodegradabili per assemblare la pelle dei robot.
In generale la ricerca evolve continuamente. Durante il dottorato mi sono occupato di “coating”, conduttivi fatti con inchiostri green – che poi è anche l’argomento di PLANT-E-TRONICS -. Poi pian pianino mi sono spostato su materiali biodegradabili e anche riciclabili per la robotica.
Ho progettato e sviluppato diversi inchiostri conduttivi fatti con solventi “green”, come acqua o alcol e utilizzando dei binder biobased e/o biodegradabili – cioè delle sostanze che possano tenere insieme l’inchiostro una volta evaporato il solvente. Nel caso di PLANT-E-TRONICS l’inchiostro è stato reso conduttivo grazie al grafene, noto per le sue eccezionali proprietà chimico-fisiche.
Il progetto PLANT-E-TRONICS, dall’idea alle potenzialità di mercato (come siete arrivati a sviluppare una tecnologia per cui le piante possono essere usate per la fabbricazione dei componenti elettronici per biodegradabilità e meccanica)
L’idea è stata quella di utilizzare materiali biodegradabili naturali e facilmente ottenibili. Abbiamo preso ispirazione dalla natura, così abbiamo utilizzato la cellulosa che è il biopolimero più abbondante sulla Terra e che è ampiamente utilizzato dall’essere umano in diverse forme. Abbiamo anche utilizzato la zeina e l’acido aleuritico come “binders” sostenibili per creare l’inchistro conduttivo.
La zeina è un prodotto di scarto della produzione del mais. Essa è anche una proteina biodegradabile con buone proprietà adesive. Proprio per questo, l’abbiamo utilizzata nel nostro inchiostro. L’acido aleuritico è invece un materiale biodegradabile che è simile alle resine prodotte dalle piante ed ha anch’esso delle ottime proprietà adesive. Dunque, la versione finale del binder consisteva proprio in un mix di zeina e acido aleuritico al fine di ottenere la miglior processabilità e adesione.
Come funziona e come migliora lo “status quo” delle tecnologie attualmente utilizzate ( se ce ne sono )
L’idea della “green electronics” è quella di utilizzare materiali che siano il più sostenibile possibile. Questo comporta impiegare il minor consumo di energia per la produzione, solventi non tossici e materiali parzialmente o completamente biodegradabili.
Questo brevetto prevede la produzione di inchiostri con ingredienti che si appiccicano molto bene alla cellulosa, ottenendo così un conduttore elettrico flessibile che può biodegradarsi al suo fine-vita. Circa il 95% della massa del materiale che abbiamo sviluppato è cellulosa, mentre solo meno del 5% è non biodegradabile (pari circa alla quantità di grafene utilizzata).
L’inchiostro può essere depositato tramite tecniche spray su diversi substrati. Per esempio, abbiamo impiegato i materiali conduttivi come elettrodo per celle solari. Abbiamo anche sviluppato un’antenna e dimostrato le proprietà di schermatura elettromagnetica del nostro materiale.
La tematica della “green electronics” sta guadagnando tantissimo interesse a livello mondiale. Se si va nei più grandi convegni mondiali di scienze dei materiali, è ormai un argomento ricorrente. Anche in Italia l’interesse è elevato. Ce ne occupiamo all’IIT di Genova nel gruppo di Athanassia Athanassiou – dove attualmente lavoro – e anche all’IIT di Milano nel gruppo di Mario Caironi. In generale ci sono tanti gruppi in Italia che fanno ricerca su questo settore. Per citare qualche nome: la Dott.ssa Luisa Petti e il Dott. Paolo Lugli alla Libera Università di Bolzano, il Dott. Giuseppe Cantarella all’ Università di Modena e Reggio Emilia e la Dott.ssa Luisa Torsi all’ Università degli Studi di Bari.
Avanzamento del progetto ad oggi e piani per il futuro, cosa sta cercando? In quale delle applicazioni (schermatura elettromagnetica delle antenne, celle fotovoltaiche e elettronica indossabile) c’è maggiore richiesta?
Tutta questa branca dell’elettronica, pur avendo una decina d’anni, è comunque ancora abbastanza all’inizio. Ad oggi il pensiero di sostituire l’elettronica che utilizziamo, ad esempio per i nostri cellulari, con alternative green è abbastanza lontana come prospettiva temporale. Invece, secondo me, è più plausibile creare delle nuove applicazioni che non era possibile fare con l’elettronica convenzionale. Pensiamo, ad esempio, a delle applicazioni di nicchia che negli anni possono diventare sempre più ad ampio raggio. Mi vengono in mente sensori che monitorino parametri ambientali e poi si degradino naturalmente nell’ambiente dopo aver completato la loro funzione. Oppure pensiamo all’elettronica bioassorbibile o edibile che può essere impiantata o mangiata per monitorare specifici parametri del nostro corpo e che poi si dissolve o viene digerita al termine dell’utilizzo. Un altro ramo che potrebbe essere interessato è la robotica, soprattutto la soft robotics che punta a sviluppare delle pinze robotiche soffici e super sensibili con applicazioni nel settore agricolo e biomedicale. Tutte le applicazioni citate potranno significativamente avanzare con il progresso della “green electronics”.
Spinoff o no- spinoff? Se no perché? Se sì con chi? (investitori / partner industriali?) di quanto avrebbe bisogno in termini economici?
Io personalmente ci avevo pensato durante il Dottorato ma poi ho voluto continuare a fare Ricerca perché mi piace. Credo che sia difficile poter fare entrambe le cose, soprattutto se stai ancora affermandoti a livello di ricerca. Nell’ambito di IIT sono presenti tanti spin-off e tanti altri sono diventate delle aziende. Il laboratorio dove lavoro io – che si chiama Smart Materials – sta creando un’azienda che fa plastiche innovative partendo dai residui della carta in collaborazione con diverse aziende molto note nel panorama nazionale e internazionale.
Nella puntata di Smart Cities di Radio24 del Sole24Ore, Maurizio Melis intervista Andrea Monti – professore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro Alimentari dell’Università di Bologna – in merito alla camelia e alla carinata: due nuove specie individuate come colture intercalari e che possono aiutare nella transizione energetica usandole ad esempio per produrre prodotti bio-based. Nel vostro caso, a quali biomasse si può fare riferimento? O di quali avreste bisogno?
I materiali per fare elettronica green sono spesso bio-based appunto, come quelli citati dal Prof. Andrea Monti. Sono tantissimi i materiali che la natura ci può fornire. Il nostro obiettivo è quello di capire quale di questi materiali sia quello giusto per il nostro scopo. Infatti, sia i materiali biobased che quelli biodegradabili hanno un ampio raggio di caratteristiche, tanto che i materiali sviluppati possono veramente avere diverse applicazioni. Dopodiché sono io a creare dei materiali più performanti , creando dei materiali composti, cioè mischiando il materiale di partenza con altri che ne migliorino le proprietà o ne aggiungano di nuove. Se tutti i materiali utilizzati per fare i compositi sono biobased e biodegradabili, il materiale finale sarà di conseguenza biobased e con un’alta probabilità di essere anche biodegradabile.
Italia e PNRR, ma anche altri progetti: come risponde l’Italia dal punto di vista sociale, economico e politico alla chimica verde?
Il PNRR è una grossa opportunità. È un’opportunità che ha però diversi problemi che devono essere affrontati. Uno di questi è che la ricerca in Italia è una macchina che per anni è stata abituata ad andare a risorse ridotte mentre adesso tutto ad un tratto deve andare a risorse esponenzialmente più alte. Per poter funzionare, il reclutamento di tanto personale dall’estero è prioritario per poter mettere a terra i molti progetti del PNRR. Generalmente però, la ricerca italiana fa fatica ad attrarre talenti dall’estero. Dunque, il reclutamento sarà davvero una grande sfida. Inoltre, il PNRR deve essere implementato in un arco temporale definito. Ciò aggiunge ulteriori possibili difficoltà. Ad ogni modo, il PNRR è un’occasione fantastica per la ricerca italiana, e porterà sicuramente tantissimi sviluppi positivi. Ad esempio, il PNRR ha fornito le risorse per istituire dei grants competitivi a cadenza annuale organizzati dal Fondo Italiano per la Scienza. Avere questi fondi e sapere che si può concorrere ogni anno per finanziare le tue idee e la tua ricerca è fondamentale. Sicuramente una cosa importante da fare sarà garantire che questo schema di finanziamento della ricerca non scompaia con la fine dei fondi del PNRR nel 2026.
Per scoprire di più su PLANT-E-TRONICS: ‘PLANT-e-TRONICS’: MATERIALI COMPOSITI A BASE DI CELLULOSA ELETTRICAMENTE CONDUTTORI | Knowledgeshare (knowledge-share.eu)