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L’importanza di supportare ricerca e sviluppo di tecnologie dall’impatto immediato: intervista a Vittorio Cherchi

Vittorio Cherchi – medico chirurgo all’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale – insieme a Umberto Baccarani e Andrea Risaliti hanno brevettato “Drenaggio chirurgico a “T” a rimozione facilitata”: una variante del tubo di Kehr utilizzato per i trapianti di fegato e la chirurgia epatica e delle vie biliari. 

Come riportato dal Ministero della Salute e dal Centro Nazionale Trapianti nel report preliminare – rilasciato a gennaio 2023 – “Donazione e trapianti 2022 di organi, tessuti e cellule staminali emopoietiche“, l’Italia dimostra un incremento notevole di trapianti e di donazioni. 

Il valore è un trend in crescita già dal 2021, a dimostrare che sono stati ristabiliti e addirittura superati gli equilibri del sistema trapiantologico nazionale in fase pre-Covid.  

Nel 2022 infatti gli interventi di trapianto sono stati 2.038 di rene, 1.474 di fegato, 254 di cuore, 138 di polmone e 38 di pancreas, con un numero complessivo di donatori pari a 1.830. 

L’incremento dei numeri è un segnale positivo per il Sistema Sanitario Nazionale italiano. Dimostra non solo l’efficienza dei centri ospedalieri e del personale ma anche il grande lavoro della ricerca pubblica. Sono sempre più i ricercatori che sviluppano progetti volti ad innovare il settore del biomedicale e generare impatto (immediato) sulla società e sulla salute di tutti i cittadini.  

Tra queste tecnologie si ritrovano anche varianti a strumenti o dispositivi della medicina nazionale. Un esempio è proprio “Drenaggio chirurgico a “T” a rimozione facilitata”: progetto nato e sviluppato da Vittorio Cherchi, Umberto Baccarani e Andrea Risaliti per l’Università degli Studi di Udine e Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale. 

Il dispositivo di drenaggio facilitato nasce da una modifica strutturale del tubo di Kehr: strumento della chirurgia tradizionale che ha scritto parte della storia della medicina utilizzato nei trapianti di fegato e nella chirurgia epatica e delle vie biliari.  

“Drenaggio chirurgico a “T” a rimozione facilitata” è la tecnologia più visualizzata del mese di maggio 2023 sulla piattaforma Knowledge Share. Abbiamo approfondito il progetto con Vittorio Cherchi che ha lasciato e lanciato punti di vista e spunti per confronti. 

immagine reale del tradizionale Tubo di Kehr

Il progetto del tubo di Kehr: dall’idea alle potenzialità di mercato. Come funziona e come migliora lo “status quo” delle tecnologie attualmente utilizzate. 

Il tubo di Kehr è un presidio impiegato in chirurgia delle vie biliari, resettiva e trapiantologica epatica. La sua funzione è quella di drenare la bile prodotta dal fegato verso l’esterno dell’organismo. È un argomento altamente specialistico in medicina. Il fatto che “Drenaggio chirurgico a “T” a rimozione facilitata” sia stato visualizzato così tante volte sulla piattaforma Knowledge (circa 320 nel mese di Maggio 2023) è un dato significativo e che mi fa certamente molto piacere.

Si tratta di un tubicino di lattice a forma di “T’’ inventato dall’omonimo chirurgo tedesco Hans Kehr, costituito da un corpo di varia lunghezza ed una porzione orizzontale più corta. Questa ultima parte viene posizionata all’interno della via biliare. La prima, più lunga, porta la bile fuori dall’organismo. Il calibro del tubicino è variabile ma comunque nell’ordine di alcuni mm. Le vie biliari sono vasi, un sistema di canali e dotti. Il coledoco termina con uno sfintere che si affaccia all’ampolla del Vater. La sua funzione è il trasporto della bile proveniente dal dotto epatico comune e dalla cistifellea all’ampolla del Vater dove la bile prodotta dal fegato arriva all’interno dell’intestino dove è implicata nella digestione dei cibi. Vi sono condizioni, fra cui lesione o presenza di una sutura o anastomosi sulla via biliare, in cui la bile deve derivare dalla via biliare senza attraversarla, in quanto potrebbe fuoriuscire da questa (leakages) e diffondere in addome causando severe complicanze quali raccolte, peritoniti biliari, deiscenze e leakages attraverso le sintesi chirurgiche

Le sue indicazioni d’utilizzo sono la chirurgia della colecisti, delle vie biliari compreso il trattamento delle lesioni iatrogene della via biliare occorse in corso di interventi chirurgici e chirurgia epatica resettiva e trapiantologica. In particolare, questa ultima rappresenta una fetta più piccola di attività rispetto all’attività chirurgica addominale generale. In Italia si parla di circa 1500 trapianti di fegato all’anno.

Nella maggior parte dei casi il tubo di Kher viene posizionato all’interno della via biliare attraverso una piccola incisione sulla parete del coledoco. Nel trapianto di fegato il tubo a “T” viene inserito poco prima che la via biliare del donatore e quella del ricevente si congiungano. L’anastomosi avviene per sutura dell’intera circonferenza dei suoi condotti. Questa linea di sutura rappresenta un punto di minor resistenza soggetto a complicanze come la rottura parziale o totale della anastomosi (deiscenza) con fuoriuscita in addome della bile (leakages). Nel caso vi siano timori relativi alla tenuta delle suture chirurgiche ed anastomosi sulla via biliare, il tubo di Kher permette di attendere il tempo necessario perché la continuità della via biliare si ristabilisca prevenendo le complicanze descritte sopra.

La porzione lunga del tubo fuoriesce da una piccola incisione sulla parete del coledoco del paziente ricevente; quella orizzontale più breve si trova all’interno della via biliare. In presenza del tubo di Kher, la bile è obbligata ad entrare al suo interno favorita dal gradiente pressorio.  Il tubo di Kher è collegato ad un sacchetto di raccolta posto ai piedi del letto del paziente. La differenza di altezza tra il paziente da cui parte il tubo e il livello del terreno a cui si trova il sacchetto di raccolta, crea una differenza di pressione che favorisce il suo ingresso nel tubo anziché nella via biliare. Grazie al tubo di Kher è possibile monitorare e controllare la produzione di bile quale indicatore della funzionalità del fegato trapiantato. Il colore e la quantità di bile prodotta ogni giorno nei giorni successivi al trapianto è una espressione della funzionalità dell’organo. In caso di insufficienza epatica o di rigetto, il colore e la quantità di bile prodotta sono infatti ridotti o assenti.

Attraverso il tubo di kher è possibile, inoltre, iniettare un liquido di contrasto in corso di un esame radiologico (RX-colangiografia trans-Kher) in grado di verniciare le pareti della via biliare e mostrare il profilo della via biliare stessa, rilevando ostruzioni o perdite di bile lungo la via biliare (leakages o leaks).

Dopo un tempo variabile dal suo posizionamento (generalmente entro alcuni mesi), il device deve essere rimosso. Durante il suo utilizzo nel paziente, si viene a creare una maglia/manicotto di tessuto fibrotico-cicatriziale che lo circonda per tutto il suo decorso dalla via biliare in cui è inserito fino alla parete addominale interna.  Nel momento in cui il tubo viene rimosso, la camicia di tessuto fibroso creatasi in questi mesi collabisce e si chiude sotto l’effetto delle pressioni positive addominali. Con il tragitto chiuso la bile può riprendere a scorrere unicamente all’interno della via naturale verso l’intestino, e non più verso l’esterno come quando era presente il tubo di Kher.

I vantaggi relativi al suo utilizzo sono numerosi come noto in letteratura, ma esistono tuttavia delle problematiche legate alla sua rimozione che ne rendono ancor oggi controverso il suo utilizzo.

La sua estrazione avviene per trazione manuale che richiede una certa “forza muscolare”.  La forma a T rappresenta un ostacolo alla sua uscita dalla via biliare. L’intera porzione orizzontale all’interno della via biliare deve infatti ora passare attraverso la piccola breccia sulla parete della via biliare attraverso cui fuoriusciva la parte lunga del tubo. Dove prima passava il solo corpo del tubo, devono adesso passare le due braccia sovrapposte del Kehr.

Proprio le forze impiegate nella procedura di retrazione del tubo, possono causare talvolta lesioni da rottura/spaccamento delle strutture coinvolte. Tali evenienze hanno in alcuni casi diminuito il suo utilizzo.  Rara, ma pur sempre possibile, è la rottura del tubo di Kehr all’interno della via biliare durante la sua rimozione. Il tubo rimane dunque ritenuto in addome e richiede una Endoscopia Retrograda (ERCP) o un intervento chirurgico per essere recuperato con i rischi che ne derivano da queste procedure.

Il nostro progetto propone un device a “T” scomponibile, dotato di due parti preformate che possono scorrere tra loro, l’una dentro l’altra che rendono agevole la sua rimozione riducendo i rischi di lesione/rottura della via biliare stessa minimizzando le forze di trazione. Questo è il punto fondamentale del nostro progetto: la “rimozione facilitata”. Infatti, in alcuni casi si tende a non metterlo, anche quando potrebbe essere utile la sua applicazione, proprio per evitare possibili danni legati alla sua rimozione. Dobbiamo dire inoltre che la scelta sull’utilizzo del tubo di Kehr dipende molto dall’esperienza del singolo chirurgo operatore o del centro trapianti: ci sono centri che lo utilizzano sempre, altri mai o altri quando il graft proviene da un donatore “a rischio” o in presenza di altre circostanze specifiche.

Rendere semplice e sicura la rimozione del dispositivo dalla via biliare al termine del suo utilizzo non solo eviterebbe molte complicazioni ma si tratterebbe di una pratica da eseguirsi anche in ambulatorio senza la necessità procedure aggiuntive come una operazione chirurgica o una procedura ERCP.

A Udine (ASUFC), in particolare, eseguiamo la rimozione del tubo di Kehr nei pazienti trapiantati di fegato, sotto guida endoscopica. L’ERCP è una procedura endoscopica altamente tecnologica, richiede la sedazione del paziente e deve essere eseguita in sale operatorie con personale tecnico dedicato (medico, infermieristico). Mediante un tubo flessibile, viene visualizzata sia la via biliare extraepatica (coledoco dove si trova l’anastomosi del fegato trapiantato e dove si trova il tubo di Kehr) che è quella intraepatica. Grazie a questo esame è possibile seguire le manovre di retrazione del tubo di Kher, evidenziando immediatamente eventuali leakages in esiti di rimozione del dispositivo. In caso di perdita biliare, in corso di ERCP è possibile posizionare una protesi all’interno della via biliare, che, come una “camicia”, copre la perdita di bile.

I costi dell’intera procedura e delle eventuali protesi biliari utilizzate possono essere eliminati con l’utilizzo del tubo di Cherchi (dal nome del medico chirurgo che l’ha progettato) con notevoli risparmi economici globali senza sottoporre il paziente a procedura addizionale in anestesia riducendo i tempi di ricovero.

Infine, è necessario dire che attualmente il tubo di Kehr deve essere mantenuto in sede sul paziente anche 6 mesi che è il tempo necessario perché quel manicotto fibroso-cicatriziale si formi intorno al tubo. Nel caso del nostro modello di “Drenaggio a rimozione facilitata”, questo tempo verrebbe verosimilmente ad abbassarsi in quanto come detto è minimo il traumatismo sulla via biliare per cui non è necessario attendere la completa formazione di quel “manicotto” di cicatrizzazione intorno al tubo che rappresenta di fatto un sistema di naturale sicurezza alla sua rimozione. Tuttavia, non possiamo ancora dirlo con certezza perché dobbiamo approfondirne gli studi.

Ho parlato del tubo di Kehr in chirurgia addominale perché riguarda la mia specialità. In particolare, io mi occupo di fegato e pancreas fin da dai tempi della specialità. Ma in generale il tubo di Kehr può essere utilizzato anche in altre branche della chirurgia in quanto può drenare due regioni distinte e lontane fuoriuscendo da un unico buco sulla cute, anziché utilizzare 2 tubi di drenaggio differenti che richiederebbero 2 fori differenti sulla cute. Un esempio di ulteriore utilizzo può essere quindi come drenaggio addominale o della regione del collo dopo chirurgia in questo distretto, oppure come device nel trattamento delle fistole gastriche o esofagee come riportato in alcune esperienze in letteratura.

Sapresti indicarci indicativamente in quante operazioni potrebbe essere impiegato a livello nazionale che non siano solo trapianti? 

Domanda difficile. Diciamo che in Italia vengono eseguiti, ogni anno, qualche migliaio di interventi di chirurgia epato bilio pancreatica. Numeri che aumentano se consideriamo anche gli interventi di colecistectomia o di rimozione di calcoli dalla via biliare, sebbene raramente possano essere indice dell’utilizzo del tubo di Kehr. Su questo bacino di interventi non saprei proprio indicare i numeri del suo utilizzo ma certamente meno del 5%. Tuttavia, è un numero difficile da definire.

A differenza dei trapianti – che vengono registrati dal CNT – Centro Nazionale dei Trapianti – la chirurgia addominale non ha un vero e proprio registro, dunque, non vorrei azzardare a dati che non hanno base scientifica confermata.

I numeri del suo utilizzo potrebbero essere maggiori se si pensa ad altre applicazioni in chirurgia. Potrebbe però avere altre applicazioni generiche, come ad esempio il drenaggio addominale che viene utilizzato per molti altri interventi. Oppure può essere ridimensionato in altre scale. Ad esempio, la microchirurgia. La chirurgia alla fine si basa anche sul drenaggio di liquidi all’esterno e quindi penso che come tubo di drenaggio possa trovare applicazione in tantissimi campi. Eventualmente servono come sentinelle per evidenziare magari un sanguinamento sospetto o problematiche sulla via urinaria. Il principio del “portare fuori” vale per tutte le chirurgie. Ho visto esempi di applicazioni del tubo di Kehr nelle cranioscopie per evadere delle emorragie dal cranio. Ho letto anche alcuni studi scientifici a riguardo. Solo per dire che ci sono davvero tanti spettri di opzione di applicazione.

Avanzamento del progetto: stato attuale dell’arte e piani per il futuro. Cosa sta cercando? 

Il prossimo passo sarà quello di sviluppare il modello vero e proprio. Al momento il progetto è poco più che teorico, in quanto abbiamo elaborato i primi modelli di “Drenaggio a rimozione facilitata” di diametri e materiali corretti. Dunque, il meccanismo funziona. Ma prima di poterlo applicare su un paziente c’è bisogno di avere tutti i parametri definitivi corretti. Ovviamente per poterlo fare è necessario l’ausilio di una tecnologia adatta per elaborare/sviluppare i dettagli. Bisogna costruirlo in una certa maniera per cui serve necessariamente il supporto di un’azienda.

Spinoff o no-spinoff? Se no perché? Se sì con chi? (investitori / partner industriali?) di quanto avrebbe bisogno in termini economici? 

Sicuramente ci sarebbe spazio e potenziale per farlo. Ci sono le sfumature giuste, che per vari motivi non ho potuto ancora elaborare, per poter costituire qualcosa del genere. Indubbiamente c’è bisogno di una mano di qualcuno che sviluppi e che sappia parlare “quella lingua”, che sappia gestire il lato aziendale e di mercato del progetto. Mettere in pratica queste idee e questi studi

Saresti disposto a diventare Amministratore Delegato di un’eventuale spinoff nel caso trovassi partner industriali o investitori per portare avanti il progetto? 

Direi di sì perché in questo progetto ci vedo la possibilità di creare nuovi fondi per ulteriori ricerche. In generale non ci sono fondi per fare ricerche. Questo sarebbe un modo per investire nella ricerca: mia, nostra, di chi studia e lavora per sviluppare delle idee. Io la vedo come una via per arrivare a fare questo e altre cose che personalmente mi appassionano. I progetti potrebbero essere condivisi e interconnessi con le Università. Pensiamo solo all’intelligenza artificiale applicata alla medicina. Ci sono corsi di laurea in Medicina misti in cui è prevista anche una parte di studi in informatica. Siamo arrivati ad un punto in cui è impossibile scindere alcuni campi. Dunque, credo che il chirurgo, e più in generale la medicina, abbiano bisogno di avere immediatamente a fianco qualcuno – un consulente, un programmatore, delle aziende – con cui condividere lo sviluppo di nuove tecnologie, strumenti o software.

Se dovessi partire con la costruzione di un primo prototipo da testare: di chi avresti bisogno in termini di investitori, aziende, ecc? 

Alcune aziende si sono già proposte. Noi abbiamo bisogno di qualcuno che intuisca le potenzialità di questo lavoro e che abbia la mentalità giusta per sviluppare questo progetto che ha bisogno di essere portato avanti con una certa qualità. Non bisogna pensare ai numeri ma alla qualità del dispositivo. Abbiamo bisogno di un’azienda che abbia voglia di svilupparlo e crearlo prestando attenzione ai materiali e ai particolari. Le aziende che già producono i tubi di Kehr potrebbero, ad esempio, avere le tecnologie giuste per elaborare questa nostra variante.

Fondi e biomedicale in Italia: un tuo pensiero. 

Credo sia un progetto con tutte le potenzialità per essere supportato a livello nazionale e oltre. Penso che la “forza” di questo progetto stia nella semplicità. Personalmente inviterei a supportare progetti “semplici” come questo che potrebbero rappresentare la vera base scientifica della ricerca in ambito brevettuale. Soluzioni di questo tipo, ed intendo appunto tecnologie e/o varianti a strumenti tradizionali, potrebbero essere applicate nell’immediato e potrebbero avere un impatto importante e decisivo sulla salute e sulla sanità.

Aspettative e auspici dalla piattaforma Knowledge Share 

Le aspettative sono elevate. La piattaforma Knowledge Share nasce per colmare la distanza tra ricercatore e Azienda, due mondi che spesso rimangono loro malgrado lontani. Questo progetto, strumento fondamentale per farli incontrare, agevola il passaggio tra la fase ideativa e quella pratica di sviluppo aziendale prestando particolare attenzione a matchare nella miniera più pertinente le due parti.

Esplora la tecnologia e contatta il Team di ricerca qui: Drenaggio chirurgico a “T” a rimozione facilitata | Knowledgeshare (knowledge-share.eu) 


Dott. Vittorio Cherchi: background e approfondimento dal percorso di ricerca sino ad oggi

Dopo la Laurea in Medicina e Chirurgia ottenuta a Sassari, ho scelto di proseguire gli studi e fare na nuova esperienza fuori dall’Isola. Udine era rinomata per l’ottima scuola di speciliatà in chirurgia generale – in particolare nella chirurgia epatobiliopancreatica e dei trapianti di fegato. La mia tesi di Laurea verteva proprio di quegli argomenti. Dopo 6 anni di specilità ho conseguito il Dottorato di Ricerca proseguendo il mio percorso grazie al quale sono riuscito a rimanere a Udine ed essere poi assuto come chirurgo generale e di trapianti di fegato e rene. L’idea del nuovo tubo di Kehr nasce dall’esperienza in ambito epatico, resettivo e trapiantologico. Si tratta di un dispositivo che presenta precise indicazioni e vantaggi, il cui utilizzo può portare a complicazioni sulla via biliare. In particolare, la sua rimozione presentava importanti problematiche che ne rendono dibattuto il suo impiego, soprattutto nei pazienti trapiantati di fegato. Escludendo le problematiche legate alle procedure di estrazione, il suo impiego poteva tornare pienamente utile e fornire quei vantaggi clinici attesi dalla sua presenza in via biliare. L’idea di un tubo costituito da due unità scorrevoli mi è sembrata la soluzione più adatta a questo scopo. Il progetto è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale e Università degli Studi di Udine e grazie al lavoro del Dott. Giorgio Miclet, della Dott.ssa Lorena Pizzale, del Dott. Marco Blanchini e Livio Petriccione. Non solo, lo strumento ha percorso le tappe che l’hanno portato al suo riconosciemento come brevetto. In questo ultimo anno, alcune aziente italiane ed europee hanno mostrato il loro interesse verso il progetto. Recente è proprio una prima interazione con un’azienda italiana per valutare insieme la fase di realizzazione del modello e successivo sviluppo.