Nel 2020, l’anno della pandemia globale di Covid, nonostante la contrazione globale del Pil, è cresciuto il ricorso ai brevetti, che tutelano le industrie e gli inventori più impegnati sul fronte dell’innovazione tecnologica. Un dato rilevante, perché anticiclico: malgrado la pandemia, sono state circa 276.000 le domande di brevetto al World Intellectual Property Office (Wipo) dell’Onu, in aumento del 4% rispetto al 2019.
Per il secondo anno nella storia del Wipo, istituito nel ’78, è stata la Cina il primo Paese per domande di brevetti internazionali nel mondo, estendendo il suo vantaggio sugli Stati Uniti, con 68.720 domande (+16%) contro le 59.230 (+3%) degli Usa. Al terzo posto è arrivato il Giappone (50.520 domande, -4,1%). In Europa svetta la Germania, al quinto posto.
L’Italia, pur essendo ancora fuori dalla Top Ten, ha registrato un aumento del 2,9% di brevetti presentati, con margini in costante crescita negli ultimi anni, anche rispetto ad altri Stati europei più quotati come la Francia e la stessa Germania. Un trend che fa ben sperare.
Quello dei brevetti è infatti un indicatore importante, perché testimonia come un’economia sia in grado di affrontare le nuove sfide create dall’evoluzione sociale e tecnologica e quanto sia capace di creare prodotti originali, che possono poi creare valore, proprio grazie alla proprietà intellettuale.
Tra i campi della tecnologia, nel nostro Paese, primeggia l’informatica (9,2% del totale), seguita dalla comunicazione digitale (8,3%), dalla tecnologia medica (6,6%), dai macchinari elettrici (6,6%) e dalla misurazione (4,8%).
Tenendo presente il buon lavoro fatto negli ultimi anni, reso possibile dalla fruttuosa collaborazione del pubblico con il privato, ora è il momento dello scatto decisivo, del cambio di passo. L’occasione è data dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), il recovery plan italiano che, con la Missione 4, destina €32 miliardi circa a istruzione e ricerca (17%), una decisione in discontinuità con le passate politiche di finanziamento di questo comparto. Affinché questi investimenti possano avere effetti concreti, senza perdere questa storica occasione, è necessario che si rispettino alcune condizioni e non si perda di vista la cornice complessiva. Su tutti, due elementi: gli investimenti del PNRR dovranno essere accompagnati dalla spesa corrente per rafforzare la ricerca – fondi pubblici o autofinanziamento degli atenei – e devono essere sostenuti dalle adeguate riforme con interventi mirati, un esempio la formazione dottorale e il placement dei dottori di ricerca, un tema strategico per la competitività del nostro Paese nei prossimi anni.