Dal 5 luglio scorso le Nazioni Unite hanno avviato la nuova campagna di comunicazione ActNow. Obiettivo: ulteriore mobilitazione a sostegno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile – SDGs – dell’Agenda 2030. La missione di questa campagna è radicare e capillarizzare sensibilità e azioni concrete rispetto al programma agendo come cassa di risonanza rivolta a tutta l’opinione pubblica globale.
La mobilitazione ad appoggiare l’Agenda con scelte e azioni concrete e tempestive arriva in vista del prossimo Vertice ONU, in programma per il 18 e 19 settembre a New York. Nell’articolo di lancio la nuova campagna di comunicazione le Nazioni Unite danno evidenza di un aggiornamento da non guardare con indifferenza: “A metà strada verso la scadenza del 2030, la promessa degli SDGs è in pericolo. Per la prima volta da decenni, i progressi dello sviluppo si stanno invertendo sotto l’impatto combinato di disastri climatici, conflitti, recessione economica ed effetti COVID-19 persistenti”.
Quello dell’ONU è un invito concreto rivolto a tutti: istituzioni, forze politiche, mondo del lavoro e cittadini. ActNow è più di una campagna di comunicazione: è un’opportunità da cogliere per fare ciascuno la propria, ma determinante, parte per agire in modo audace verso un futuro sostenibile. Senza dimenticare che il futuro è già oggi.
Anche dal mondo della ricerca pubblica italiana si stanno sviluppando molti progetti interessanti e motivati proprio da questo obiettivo: essere parte impattante nella soluzione al cambiamento climatico, al riequilibrio degli ecosistemi e ad un’equa accessibilità a tutte le risorse primarie di cui abbiamo bisogno. Basti pensare all’acqua.
Carenza e scarsità di acqua, insieme con un’inadeguata gestione dei sistemi sanitari e idrici sono tra le principali sfide del nostro tempo. Tuttavia, uno dei traguardi proprio dell’obiettivo 6 dell’Agenda 2030 – “Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie” – è quello di aumentare l’efficienza nell’impiego dell’acqua in ogni settore, garantendo l’accesso a forniture sostenibili di acqua potabile.
In questo senso sta lavorando Aquaseek, spin-off nata tra i laboratori di ricerca del Politecnico di Torino con il brevetto “Produrre acqua dall’aria con l’energia solare con calore a basse temperature”, meglio conosciuto poi come la tecnologia Breath. Il dispositivo permette di produrre acqua dall’aria grazie ad un ciclo termodinamico di combinazione tra materiali adsorbenti e calore a bassa temperatura. La caratteristica innovativa di Breath è proprio quella di essere in grado di produrre acqua in qualsiasi habitat ci si trovi, anche quelli più ostici come ad esempio le zone desertiche. Una tecnologia, dunque, che non ha solo dell’avanguardistico ma che abbraccia fortemente i concetti di inclusività, equità e sostenibilità in termini di risorse.
Abbiamo avuto il piacere di conoscere meglio il progetto con Vincenzo Maria Gentile, tra gli inventori e parte del team di Breath e Aquaseek insieme con Marco Simonetti e Giovanni Vincenzo Fracastoro. L’intervista viene pubblicata in relazione al trend topic del mese “Energie e fonti rinnovabili”, di cui Breath è il brevetto più visualizzato nel mese di giugno sulla piattaforma Knowledge Share.
Ci puoi introdurre brevemente in cosa consiste la tecnologia? Come funziona e come migliora lo “status quo” delle tecnologie attualmente utilizzate. Raccontaci anche qualcosa di più sui diversi nomi.
Aquaseek è il nome che abbiamo deciso di dare alla startup quando abbiamo voluto partecipare alla Start Cup Piemonte, mentre Breath si riferisce al concept tecnologico. Infine, “Produrre acqua dall’aria con l’energia solare con calore a basse temperature” si riferisce essenzialmente al brevetto. Diciamo che i nomi raccontano un po’ i momenti chiave del nostro percorso sino ad oggi. Il concept, in generale, è quello di voler utilizzare una fonte energetica scarsa – che a livello di pregio è una qualità molto scarsa – assimilabile, per esempio, a del calore di scarto (come quello delle centrali o i flussi termici prodotti dal settore alimentare). Poi c’è anche il calore, che può essere prodotto da fonte solare (come i classici collettori ad uso domestico per l’acqua sanitaria). Dunque, l’idea è stata quella di utilizzare questo calore, che dal punto di vista di pregio è molto basso, per produrre l’acqua dall’aria.
Come funziona. Da un lato abbiamo questa energia, che può utilizzare l’acqua, e dall’altro abbiamo dei materiali adsorbenti. Per capire meglio cosa siano i materiali adsorbenti, pensiamo a delle spugne molto porose che quando sono esposte all’aria hanno un’affinità particolare con il vapore acqueo, quindi con l’umidità presente nell’aria, inumidendosi al contatto. Quando viene raggiunto il giusto livello di saturazione, si innescano dei cicli di rigenerazione dove prima si carica e poi si scarica di vapore. Per scaricare è necessaria dell’energia e quindi l’impiego di calore che può provenire da fonti solari, per avere un processo sostenibile.
Uno dei vantaggi del brevetto è sicuramente quello di poter utilizzare del calore a bassissima temperatura (tra i 50 e 60 gradi). Un altro “plus” è sicuramente quello che il ciclo termodinamico descritto permette di avere un consumo energetico molto basso. Dunque, rispetto ad altre tecnologie esistenti Breath si basa proprio sull’utilizzo di calore scarso, impiegandone in piccole quantità.
L’aria è una fonte inattesa di acqua totalmente pura. Da cosa proviene il vostro interesse per questo meccanismo, cosa ha catturato la vostra attenzione? Quale è stato il percorso dall’idea alle potenzialità di mercato?
Di base parte da un’esperienza personale di vita in contesti dove l’accesso all’acqua non era assolutamente garantito. Tutto il percorso nasce da un’esperienza di dottorato in Marocco che era proprio legata alla climatizzazione dell’aria sfruttando l’energia solare. Ricordo di essere stato molto colpito da queste strade lunghissime in contesti desertici in cui, sporadicamente, si vedevano dei veri e propri “giardini dell’Eden”: che in un secondo momento ho scoperto essere delle aziende agricole a conduzione famigliare. Il terreno di famiglia ti permette di avere un agrumeto, un frutteto o simili. Questi “spot” così rigogliosi sono recintati, dunque inaccessibili dall’esterno, poiché si tratta di famiglie agiate che hanno avuto la possibilità di accedere all’acqua, grazie ad un pozzo privato. Questo mi ha toccato molto perché non si trattava di mancanza di risorse o problemi tecnologici, quanto più economici.
Il tutto sovrapposto a un background di conoscenze legate al settore della deumidificazione dell’aria. “Match”: nasce questa idea legata al fatto che se prima si deumidificava l’aria; quindi, prima il prodotto era l’aria secca, in questo caso il prodotto è esattamente la possibilità di catturare questo vapore. Il vantaggio è proprio che nell’aria c’è una media annuale di acqua assimilale circa a 13.000 km cubici. Consideriamo che i fiumi, nel mondo, sono assimilabili a 2.000/3.000 km cubici. Quindi se si opera un confronto – partendo dal fatto che fiumi e laghi sono la prima risorsa per eccellenza legata al consumo di acqua su tutta la superficie terrestre – si nota che ci sono notevoli quantità di acqua nell’aria, molto più grandi di quelle che normalmente sfruttiamo. Non solo, l’altro aspetto interessante è che è equamente distribuita. Chiaramente – ci sono zone più umide e meno umide – ma comunque è sempre presente. Questo, a livello di infrastrutture, connessioni e possibilità di accesso, da un vantaggio al poter utilizzare una risorsa liquida che può essere un fiume, o la vicinanza alla costa per la desalinizzazione, perché a livello logistico l’aria è già distribuita ovunque.
Non solo, l’acqua è una risorsa che si può considerare rinnovabile perché se ci pensiamo bene l’umidità non è altro che acqua evaporata da tutte le superfici acquose presenti nel mondo. È proprio parte integrante del ciclo naturale dell’acqua. E poi è una risorsa che è sempre presente e viene continuamente caricata – da evaporazioni di mari e laghi – e scaricata – dal fenomeno delle piogge -. Questi tre aspetti ne fanno secondo noi – da un punto di vista di startup – una soluzione interessante. In questo modo è possibile intervenire anche in tutti quei luoghi dove c’è un connubio di scarsità di accesso a risorse tradizionali e alta disponibilità di risorse energetiche a basso costo. Pensiamo per esempio alle zone desertiche. Li si ha una quantità di radiazione solare enorme. Oppure pensiamo a contesti industriali dove ci sono consumi d’acqua non indifferenti. Parliamo comunque di consumi che hanno un impatto importante a livello di sostenibilità, non per nulla indifferente, quindi anche tutto il trattamento – per esempio – sull’acqua che viene poi processata e scaricata a livello industriale. Con Breath quindi ritorna il concetto di non andare ad impattare le falde o i fiumi e i laghi: un altro aspetto che ci è molto a cuore soprattutto in ottica di sostenibilità. Ovviamente poi tra l’idea e l’approdo finale sul mercato c’è veramente tanta ricerca e sviluppo.
Sapresti indicarci su che scala possono essere realizzate le macchine? In termini di utilizzo e se ci sono delle correlazioni geografiche precise (ad esempio. Se una macchina è destinata ad una zona desertica ha delle peculiarità specifiche?)
Dal punto di vista brevettuale la tecnologia dà un vantaggio anche in quel senso perché disaccoppia il funzionamento della macchina dalle condizioni ambientali esterne. Ti permette di produrre – con un’efficienza che non è quella ottimale perché il potere del progetto decade leggermente in contesti di zone molto calde, per ora -. C’è un aspetto minimo di dipendenza dalle condizioni ambientali ma ha la possibilità di poter avere una producibilità abbastanza costante su una scala uniforme di zone geografiche. Quello che cambia è la scala. Siccome ci sono i punti di efficienza che cambiano, avrei più bisogno di risorsa termica quindi una maggiore estensione a livello di macchina-superfici rispetto alle applicazioni tradizionali. Ad esempio, il condizionatore di casa. Per rinfrescare casa è sufficiente il tubicino che raccoglie la condensa sul balcone – ed è comunque un sistema di produzione dell’acqua dall’aria -. Il problema è ad esempio in un ambiente desertico dove la concentrazione di umidità è talmente bassa che per usare un sistema tipo lo split domestico bisognerebbe abbassare drasticamente le temperature anche sottozero, dove ormai l’acqua non è nemmeno più liquida. Dunque, il problema sarebbe sia tecnologico che energetico, nonché pratico. Criticità che invece Breath non ha. Ne abbiamo avuto la prova lo scorso ottobre durante una campagna sperimentale in una riserva naturale in Texas, in cui le condizioni erano veramente desertiche. Anche in quel caso siamo riusciti a produrre comunque dell’acqua. Abbiamo dunque la garanzia di produzione anche in contesti ambientali dove la tecnologia tradizionale non riesce per problemi intrinsechi.
Nel 2021 avete costituito lo spin-off “Aquaseek”. Come è stato questo percorso dalla ricerca al mercato? Quale è lo stato dell’arte ad oggi?
La storia di Aquaseek nasce in modo abbastanza informale. Eravamo un gruppo di studenti, insieme con Marco Simonetti, che ha deciso di partecipare a Start Cup Piemonte. Una bella esperienza che ci ha portato fino alla fase nazionale, in cui siamo arrivati secondi. Ancora non eravamo fondati, eravamo più un gruppo che si era dato un nome. Ci siamo messi dunque alla ricerca di fondi poiché avevamo la parte della ricerca a nostra disposizione: aule, laboratori e strumenti. Non sentivamo la necessità così forte di fondare. Poi abbiamo incontrato LIFFT ed Eureka! che hanno dato il primo seed per fondare la società. Da ricercatore è stato un bell’impatto. Soprattutto a livello di apertura mentale e proiezione di nuovi orizzonti. Quando fai il ricercatore sei spesso incentrato e concentrato nello sviluppo tecnologico, senza troppi contatti con l’esterno. Quindi questo “limita” anche un po’ il pensiero. Quando invece poi ti rivolgi al mondo e cerchi di capire come generare impatto attraverso ciò che tu stai studiando, capisci che devi ri-scalare i lavori da un approccio accademico di base.
Quali sono i prossimi passi del progetto imprenditoriale di “Aquaseek”? Che cosa state cercando e che di quanto avreste bisogno in termini economici, se ne avete bisogno?
Insieme a Breath abbiamo brevettato un’altra tecnologia concentrata sulla spugna e sull’assorbimento. Se l’obiettivo è produrre acqua potabile ci deve essere necessariamente una biocompatibilità a livello di materiali impiegati. Si tratta dunque di uno scambiatore che ha un biopolimero che cattura e scarica il vapore sfruttando del calore. Ci stiamo focalizzando sulla realizzazione di uno scambiatore affidabile nel tempo e allo stesso tempo vogliamo compattare la macchina per arrivare a livelli sempre più piccoli.
A breve dovremo mettere a terra un nuovo seed e, incrociando le dita, ci potrebbe essere un ingresso di nuovi soci. Diciamo che nel nostro caso è vero e proprio Trasferimento Tecnologico. C’è una strettissima sinergia tra l’Ateneo e la parte imprenditoriale. L’obiettivo è quello di arrivare ad una soluzione tecnologica che puoi chiamare prodotto e il fatto che a questo progetto ci lavorino persone che prima erano studenti è un dato significativo lato umano e più specificatamente di settore.
In generale è un bel periodo. Si sono avvicinati anche dei partner industriali per mettere a terra altri Proof Of Concept per taglie che sono all’orizzonte di un migliaio di litri al giorno. Diciamo che c’è stato interesse su diversi fronti: dal paio di litri al migliaio al giorno. Abbiamo trovato un forte interesse per la produzione di bevande calde perché attualmente come dimensione è più conforme alla produzione di taglie piccole.
PNRR ed energia e fonti rinnovabili in Italia: cosa sta facendo, può o dovrebbe fare l’Italia in questo senso e con questi fondi? Quale è secondo te la sensibilità socio-politica ed economica rispetto all’obiettivo 6 degli SDGs?
Le notizie cambiano davvero velocemente, forse non c’è una linea abbastanza dritta come forse non c’è un obiettivo abbastanza definito. Mia opinione personale e visto l’obiettivo di aumentare la penetrazione di fonti rinnovabili bisogna fare tanto dal punto di vista delle infrastrutture. Se da un lato l’energia non ha solo una connotazione di tipo sostenibile ma anche geopolitico, poter utilizzare le proprie risorse è estremamente importante. Se Vincenzo avesse lo scettro investirebbe tantissimo sulla rete per aumentare il livello di penetrazione delle rinnovabili.
Quando ho cominciato i miei studi di ingegneria energetica c’era il boom del fotovoltaico. Su quell’onda emotiva molti si sono lanciati nel settore ed effettivamente c’è stato un impatto molto forte. Effettivamente in questo periodo i picchi delle rinnovabili sono molto alti, superano il 50%, quando ho iniziato io era circa il 10%. Quindi è successo tanto. Ora stiamo arrivando di nuovo al collo di bottiglia, credo sia il momento di fare quel passo in più necessario per nuovi stili di vita sostenibili. Certo tutto questo non è stato gratuito perché è poi la società a dover fare i conti “in tasca” con le bollette e impatto di spesa. Sicuramente senza quelle politiche di sussidio sarebbe stato tutto molto più difficile.
Marco Simonetti, nella video-intervista di “Breaking Science – l’innovazione net tempo di un caffè” con Elisabetta Curzel dice: “Il passo da fare ora è l’innovazione: portarla nella vita di tutti i giorni richiede un investimento”. Con questa frase si riferiva ai Bandi Proof Of Concept con i quali avete sviluppato la tecnologia odierna. Io ti chiedo invece: l’Italia è pronta per fare questo passo? Lo ha già fatto? Come valuteresti attualmente il panorama del binomio ricerca-impresa in Italia nel campo dell’innovazione?
Sicuramente c’è da fare innovazione e c’è bisogno di investimento per fare innovazione. Quando parlo di investimento non mi riferisco solo al lato economico ma anche al capitale umano: quelle persone che quotidianamente “falliscono” e ricominciano da capo. Alla fine, fare innovazione è questo. È un processo che ha bisogno di pazienza, di prove e di riprese. Anche di ripartenze da zero.
A livello di ricerca l’Italia è molto forte perché ci sono davvero tanti ricercatori. Probabilmente il salto che va fatto è il lavoro del portare l’idea nel concreto: anche nell’aspetto più umano del Trasferimento Tecnologico. Se non hai, nel contesto, il supporto economico per andare avanti o per ricominciare da capo si innesca un rateo di insuccessi non indifferente. Che poi è la stessa atmosfera che si respira nelle startup.
Avete ricevuto dei contatti grazie alla piattaforma Knowledge Share?
Nel primo periodo in cui era stato messo il brevetto sul portale ci sono stati molti feedback che sono stati più come trampolino di lancio, soprattutto a livello mediatico. Ma all’inizio ne sono arrivati molti di contatti grazie alla piattaforma.
Per approfondire la tecnologia su KS – Produrre acqua dall’ aria con l’ energia solare | Knowledgeshare (knowledge-share.eu)